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Ma l’orizzonte non è ancora del tutto sgombro

Carlo Bozaga è uno dei più accesi fautori della legge. Ma per lui manca ancora chiarezza su chi in futuro potrà assumere la nuova identità di impresa sociale

di Francesco Agresti

Un contributo alla chiarezza, soprattutto sul fronte della distinzione tra imprese sociali e organizzazioni che svolgono soltanto una funzione di advocacy.Ancora troppa ambiguità sul fronte delle forme giuridiche che in futuro potranno diventare imprese sociali. Luci e ombre del decreto licenziato dal governo secondo Carlo Borzaga, preside della facoltà di Economia dell?università di Trento, uno dei più accesi fautori della nuova normativa.

SocialJob: Settori di intervento e divieto di distribuzione degli utili erano due delle questioni più delicate da regolare. Come giudica l?intervento del governo?
Carlo Borzaga: Sugli ambiti di attività mi pare che vi sia stata una buona apertura anche se, a mio avviso, l?elenco poteva essere completato dalla previsione dell?operatività nell?ambito dell?intermediazione nel mercato del lavoro e della promozione dello sviluppo locale.

SJ: E sulla distribuzione degli utili?
Borzaga: Il decreto prevede la possibilità di remunerare strumenti finanziari diversi dalle azioni e dalle quote, a soggetti che non siano banche o intermediari finanziari autorizzati, in misura non superiore a 5 punti oltre il tasso ufficiale di riferimento. Questa scelta mitiga il divieto assoluto previsto nella legge delega e permette alle imprese sociali di accedere ai mercati finanziari, ad esempio, attraverso l?emissione di obbligazioni.

SJ: Qual è l?aspetto del decreto che suscita maggiori perplessità?
Borzaga: La legge delega da sola non basta a garantire che possano essere imprese sociali anche gli enti diversi da quelli regolati dal libro primo del codice civile, cioè le associazioni e le fondazioni, oltre alle cooperative sociali. L?articolo 1 del decreto afferma, infatti che: «Possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutte le organizzazioni private senza scopo di lucro». In questi anni il ministero della Giustizia è sempre intervenuto limitando, laddove le leggi non erano chiare, le attività non profit ai soli enti regolati dal libro primo del codice civile. Non vorrei che questo orientamento venisse confermato anche davanti al primo tentativo di dare vita a un?impresa sociale con la forma giuridica di una srl o di una spa.

SJ: Il governo ha sempre affermato che tutte le forme di imprese private possono acquisire la qualifica di imprese sociali?
Borzaga: Ma allora perché non lo ha scritto chiaramente nella legge? A dire il vero l?articolo 6, a proposito della responsabilità patrimoniale, dice: «Salvo quanto già disposto in tema di responsabilità limitata per le diverse forme giuridiche previste dal libro V del codice civile», norma che lascia intendere che possono essere imprese sociali anche le organizzazioni regolate dal titolo V del codice civile. Per fugare ogni dubbio il legislatore avrebbe dovuto prevedere un elenco con tutte le forme giuridiche. Non lo ha fatto, spero non prevalga l?orientamento restrittivo.

SJ: Nella legge sull?impresa sociale erano riposte le speranze di coloro che auspicavano una maggior chiarezza nel definire chi fa cosa nel non profit. Speranze disattese?
Borzaga: Il decreto stabilisce che possono essere imprese sociali quelle «organizzazioni che svolgono in via stabile e principale un?attività economica?»: questo vuol dire che non potranno essere considerate imprese sociali, così come chiesto dall?Arci, quelle associazioni che marginalmente erogavano anche servizi. In questo senso credo che il decreto contribuirà a far chiarezza distinguendo le imprese sociali dalle organizzazioni che svolgono solo una funzione di advocacy.

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